Oggi la notizia più importante arriva dalla Federazione Russa.
Qui, dopo una vasta campagna di attacchi ucraini, la Russia si è trovata praticamente senza carburante raffinato da esportare, poiché i flussi di esportazione di benzina e diesel sono crollati a livelli paragonabili a quelli registrati durante la pandemia, e l’economia inizia a percepire una crisi sistemica di approvvigionamento piuttosto che una semplice interruzione temporanea. Treni e petroliere che una volta consegnavano prodotti raffinati in modo affidabile ora trasportano molto meno, e questa carenza è già visibile alle pompe, nei registri delle navi e nei briefing ministeriali.

Le spedizioni giornaliere ferroviarie di greggio e carburante raffinato sono diminuite a settembre riportandosi ai livelli del 2020, all’inizio del collasso pandemico. Il carico ferroviario giornaliero di greggio e carburante finito è sceso a 3.690.000 barili al giorno a settembre, un livello visto l’ultima volta a giugno 2020. Questo riflette un calo massiccio di oltre il 26% rispetto alla media russa dell’anno scorso. Così, dove una volta lunghe file di carri cisterna restavano regolarmente ai terminal, ora il trasporto ferroviario muove molti meno prodotti, e vi sono molti meno prodotti disponibili per alimentare le navi da esportazione.

Anche la situazione marittima è critica; le esportazioni via mare di prodotti raffinati sono calate di circa il 17% a settembre dopo che gli attacchi hanno costretto diversi grandi impianti di raffinazione a interrompere la lavorazione. Quando porti e approdi diventano inaffidabili, le compagnie assicurative aumentano i premi o limitano la copertura per le traversate, specialmente per le petroliere più vecchie della flotta “ombra” che navigano con documentazione incerta. Ciò costringe i commercianti a cercare assicurazioni rare e più costose o a utilizzare navi di qualità inferiore con copertura minima o statale, ritardando le spedizioni e aumentando il costo di ogni barile trasportato. In pratica, l’aumento dei costi assicurativi e di trasporto grava sui compratori e rende alcune operazioni non redditizie. Il calo totale equivale a 153 milioni di barili persi a settembre, causando una perdita di entrate di oltre 12 miliardi di dollari in un solo mese.

La ragione di tutto ciò è che circa la metà delle raffinerie russe è stata colpita o costretta a fermarsi dopo ripetuti attacchi con droni ucraini, lasciando molto meno carburante da spedire. L’altra metà si trova troppo lontano dall’Ucraina per essere minacciata immediatamente o opera già a capacità ridotta o sotto pressione, perché pezzi di ricambio e squadre di riparazione specializzate sono difficili da reperire sotto le sanzioni, e le poche disponibili vengono spesso deviate per riparare gli impianti distrutti. Ciò significa che anche le raffinerie non danneggiate non possono compensare il deficit a un livello necessario.

Il crescente arsenale ucraino di armi a lungo raggio contribuisce alla situazione, essendo prodotto internamente e con gittate impressionanti. I droni FP-1 dell’Ucraina sono responsabili del 60% degli attacchi, con un raggio di 1.600 chilometri e una testata da 60 a 120 chilogrammi, sufficientemente precisa e potente da paralizzare moduli delle raffinerie. Alcuni rapporti indicano addirittura che l’Ucraina potrebbe aver utilizzato i nuovi missili da crociera Flamingo per condurre alcuni attacchi sulle raffinerie, il che, se confermato, avrebbe causato danni ancora più devastanti.

Con le raffinerie russe fuori uso, i depositi sono diventati obiettivi principali, dove il carburante attende di essere caricato su navi o treni. Filmati e immagini satellitari mostrano grandi incendi nei depositi e siti ferroviari danneggiati.

Quando questi depositi bruciano o vengono messi offline, i produttori non possono immagazzinare il prodotto per l’esportazione o deviarlo intorno agli impianti danneggiati, quindi le esportazioni calano ulteriormente e i mercati locali si esauriscono più rapidamente. Colpire i depositi è un modo semplice e brutale per ampliare la crisi mentre le raffinerie vengono riparate, offrendo nel frattempo bersagli preziosi per l’Ucraina che attende di colpire nuovamente le raffinerie. Gli effetti a catena sono immediati e facilmente comprensibili, poiché persone e imprese affrontano carenze e razionamenti, mentre anche le unità militari soffrono di forniture ridotte.

Complessivamente, raffinerie danneggiate, incendi nei depositi e carichi ferroviari crollati hanno combinato i loro effetti spingendo il sistema del carburante russo verso una crisi simile a quella dello shock pandemico. Riparare le raffinerie richiede settimane o mesi, perché pezzi e squadre specializzate scarseggiano, e ogni deposito colpito rimuove i buffer che altrimenti garantirebbero il flusso delle esportazioni. Se la pressione su produzione e stoccaggio continua, Mosca dovrà affrontare tre opzioni sfavorevoli: spendere ingenti somme per importare carburante raffinato, accettare perdite di esportazione a lungo termine o razionare le forniture interne, nessuna delle quali è una soluzione rapida o indolore.

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