Oggi, la notizia più importante arriva dall’Azerbaigian.
Qui, l’Azerbaigian sta sfidando apertamente l’influenza della Russia, smantellando i legami culturali e arrestando giornalisti russi in quella che definisce una repressione contro le interferenze straniere. Un tempo stretto partner del Cremlino, Baku si presenta ora come un attore regionale che non è più disposto a tollerare quella che considera una manipolazione russa, segnalando un cambiamento più profondo che potrebbe ridisegnare le alleanze nello spazio post-sovietico.

Le recenti mosse dell’Azerbaigian equivalgono a una vera e propria rottura politica. Eventi culturali russi a Baku sono stati cancellati. Una visita programmata del vice ministro della cultura russo è stata improvvisamente annullata. Sette giornalisti russi, per lo più operanti per Sputnik e Ruptly, sono stati arrestati e accusati di essere agenti stranieri.


Secondo le autorità azere, questi individui stavano raccogliendo informazioni o manipolando le narrazioni per servire gli interessi del Cremlino.

La Russia nega, definendoli giornalisti legittimi, ma lo scontro non è nato dal nulla. Di recente, la polizia russa ha fatto irruzione in attività commerciali e mercati gestiti da azeri a Ekaterinburg, Voronezh e in altre città, presentando queste azioni come parte di un'operazione necessaria per smantellare reti criminali etniche organizzate.


Poco dopo, però, diversi detenuti azeri sono morti sotto custodia russa, ufficialmente per infarti o embolie, anche se i media azeri e le famiglie delle vittime hanno accusato la polizia russa di torture.

Ma non si tratta solo dei morti; è ciò che rappresentano. Per l’Azerbaigian, questo è stato l’ultimo colpo, una scusa per accelerare una rottura che era in preparazione da tempo. La risposta è stata rapida e pubblica. La televisione di stato azera ha trasmesso servizi che paragonano Vladimir Putin a Stalin, un messaggio amplificato sui social media, nei comunicati ufficiali e nei commenti culturali. Gli arresti dei giornalisti di Sputnik non sono stati solo una rappresaglia, ma un segnale che Baku non considera più tollerabile l’influenza dei media russi. A prescindere dal fatto che questi giornalisti fossero o meno spie, le loro licenze operative erano già state revocate da febbraio, poiché l’Azerbaigian sta attivamente reclamando il proprio spazio informativo. La presenza dei media statali russi ha a lungo influenzato l’opinione pubblica e l’esito delle elezioni negli stati vicini, rendendo la loro rimozione non solo simbolica ma strategicamente significativa per Baku. I funzionari russi hanno definito la repressione azera una forma di genocidio e l’hanno inquadrata come russophobia, ripetendo le narrative di lungo corso del Cremlino che dipingono ogni resistenza all’influenza russa come persecuzione etnica o culturale.

Questa svolta netta ha radici profonde: da anni, l’Azerbaigian si sta spostando verso l’Occidente. Acquista equipaggiamento militare dalla Turchia e da altri fornitori legati alla NATO. Ha combattuto la Seconda guerra del Nagorno-Karabakh nel 2020 contro l’ex alleato della Russia, l’Armenia, e la sua offensiva del 2023 ha ulteriormente messo alla prova la capacità di Mosca di intervenire nel Caucaso meridionale. E non si tratta solo di mosse militari: Baku ha anche coltivato legami discreti con l’Ucraina, fornendo carburante e, tramite intermediari, armi. Durante le retate della polizia russa e la risposta azera, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha persino telefonato al suo omologo azero, Ilham Aliyev, per esprimere sostegno contro le interferenze russe in Azerbaigian.

È stato un gesto piccolo ma dalle grandi implicazioni: Kyiv vede in Baku un partner nel minare la presa della Russia sui suoi vicini, impedendo a milioni di persone di scegliere liberamente il proprio futuro.

La Russia appare sovraccarica: la guerra in Ucraina continua ad assorbire tutta la sua attenzione, facendo scivolare via la sua influenza geopolitica. In Asia Centrale, nel Caucaso meridionale e persino in altre aree dell’Europa orientale, ex alleati stanno sempre più affermando percorsi autonomi. Le azioni dell’Azerbaigian si inseriscono in questa tendenza più ampia: dieci anni fa, una sfida aperta, l’attacco alle narrative russe e il rifiuto della diplomazia culturale sarebbero stati impensabili; oggi sono atti considerati difesa necessaria.

Con il presidente statunitense Donald Trump che ha recentemente rivelato che le ambizioni territoriali della Russia si estendono ben oltre l’Ucraina, la decisione dell’Azerbaigian di tagliare i ponti ora è preventiva. Non a caso, i media russi stanno già mettendo in dubbio la legittimità dello stato azero e cercando di alimentare tensioni etniche tra le minoranze del paese. Se la guerra in Ucraina dovesse finire, è probabile che la Russia cerchi di riaffermarsi altrove; per l’Azerbaigian, tracciare una linea rossa in anticipo significa dire: non saremo il prossimo obiettivo.

Nel complesso, la svolta drammatica dell’Azerbaigian contro la Russia rappresenta più di uno scontro diplomatico. È una rottura che riflette correnti regionali profonde, dove il dominio di Mosca non è più scontato e gli ex alleati non sono più silenziosi. Ciò che è iniziato come un’indagine criminale si è trasformato in uno scontro per la sovranità, il controllo dell’informazione e il diritto dell’Azerbaigian a determinare autonomamente la propria politica interna.

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