Oggi ci sono molte notizie interessanti dalla Transnistria.
Con le riserve di gas esaurite, la produzione energetica dimezzata e Mosca che pianifica il dispiegamento di 10.000 soldati, l’enclave sta rapidamente diventando sia un peso sia un potenziale punto di crisi. Tuttavia, dietro questo crollo locale si nasconde un rischio ben più grande: se la Russia perde il controllo sulla Transnistria, perderà anche il vantaggio strategico di un’eventuale avanzata futura attraverso Odessa.

Per mesi, i segnali di tensione sono cresciuti. A gennaio, l’Ucraina ha interrotto il transito del gas russo attraverso il suo territorio, non essendo più disposta a fare da intermediario in un commercio che finanziava indirettamente lo sforzo bellico del Cremlino.

Questa decisione ha spinto la Transnistria in una crisi energetica. Mosca ha risposto con spedizioni a breve termine deviate tramite l’Ungheria, ma i volumi sono rimasti scarsi, irregolari e soggetti a pressioni politiche immediate sia dalla Moldavia che dalla Russia. Tuttavia, questa situazione era voluta: secondo quanto riferito, la Russia avrebbe bloccato la Transnistria dall’ottenere importazioni di energia dall’Occidente, preferendo lasciar soffrire la regione piuttosto che rischiare di perdere influenza.

Se i Paesi occidentali fossero intervenuti migliorando le condizioni, la popolazione locale avrebbe potuto iniziare a mettere in discussione la propria dipendenza da Mosca. Se invece non fossero intervenuti, la Russia si sarebbe assicurata che i transnistriani rimanessero dipendenti attraverso il gas.

Nel frattempo, la Moldavia si è rifiutata di fungere da fornitore alternativo. Il governo di Chișinău ha interrotto le spedizioni di gas liquefatto e ha gradualmente eliminato le consegne centralizzate alla Transnistria, sostenendo di non poter essere costretto a sostenere un territorio secessionista ancora coinvolto in un conflitto congelato con lo Stato moldavo.

In parallelo, la Russia avrebbe esercitato pressioni sulla leadership transnistriana affinché rifiutasse qualsiasi assistenza occidentale, isolando ulteriormente la regione. Senza rotte di transito ufficiali, senza contratti e senza riserve di emergenza, l’economia della regione è crollata.


La produzione industriale è diminuita del 43%, il commercio è sceso del 31,5%, la produzione energetica si è dimezzata e i settori della metallurgia e dell’industria chimica hanno subito cali superiori al 60%. Questo sta avendo effetti devastanti sull’economia transnistriana, con un PIL previsto in calo del 12% e un’inflazione in crescita del 16%, facendo nascere dubbi tra i transnistriani sul fatto che continuare a collaborare con la Russia sia ancora nel loro interesse.


Tuttavia, per mantenere il controllo, Mosca si sta ora preparando a dispiegare fino a 10.000 soldati in Transnistria, un aumento drastico rispetto al contingente attuale di circa 1.500 uomini, secondo i servizi segreti occidentali e moldavi. Non si tratta di una posizione difensiva, ma di una mossa preventiva per assicurarsi l’ultima posizione della Russia a ovest dell’Ucraina prima che diventi irrecuperabile. Questo rafforzamento aumenterebbe i rischi di scontro con la Moldavia e i suoi sostenitori europei, ma per Mosca perdere la Transnistria significherebbe rinunciare a una base strategica per future operazioni.
Questo dispiegamento pianificato avviene in parallelo all’aumento dell’interferenza russa nella politica interna moldava, dove Mosca sostiene un candidato filo-Cremlino contro un rivale favorevole all’avvio di negoziati formali per l’adesione all’Unione Europea, alzando la posta in gioco sia per la Russia che per l’Occidente. Il rafforzamento militare, l’ingerenza elettorale e la pressione economica fanno tutti parte dello stesso obiettivo strategico: la Russia vuole ancora creare un corridoio terrestre dal proprio territorio fino alla Transnistria. Se Mosca lascia cadere la Transnistria, perde sia l’ultimo avamposto a ovest dell’Ucraina, sia l’unica possibilità di collegare quell’enclave a future conquiste territoriali. Un corridoio terrestre da Kherson a Odessa avrebbe senso solo se collegato a una base transnistriana ancora funzionante.

Senza ciò, la Russia si troverebbe di fronte a due opzioni entrambe negative: abbandonare le sue ambizioni o prepararsi a un’invasione su vasta scala della Moldavia. La prima opzione sarebbe umiliante, la seconda estremamente rischiosa. A differenza del Donbass o della Crimea, la Moldavia non ospita una popolazione russa abbastanza numerosa da giustificare un’annessione tramite referendum, né offre vie di fuga se le cose andassero male. Con la Transnistria in collasso e la Moldavia che chiude la porta, la Russia rischia di perdere il motivo stesso per tentare un’avanzata a sud.

Nel complesso, la crisi in Transnistria non è solo una crisi energetica locale; rappresenta il possibile crollo dell’avamposto più occidentale della Russia e rivela una vulnerabilità critica nella strategia regionale del Cremlino. Il dispiegamento di 10.000 soldati segnala disperazione, non forza, ma un ultimo tentativo di mantenere il controllo in una regione dove la Russia un tempo deteneva tutto il potere. Se l’Occidente manterrà la concentrazione e la Moldavia continuerà a negare legittimità all’enclave secessionista, il collasso della Transnistria potrebbe segnare l’inizio della fine per le ambizioni russe di un corridoio terrestre. E con esse, un duro colpo all’idea che la sola forza militare possa ridisegnare l’Europa.

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